LESSICO DI ETICA PUBBLICA – Anno VI Numero 2/2015 – ISSN 2039-2206

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Introduzione

Sergio Racca

Il presente numero di «Lessico di Etica pubblica» contiene nelle sue parti i risultati di due attività organizzate dal CeSPeC (Centro Studi sul Pensiero Contemporaneo) di Cuneo. La sezione Questioni contiene i contributi dei relatori e dei discussants intervenuti durante il Workshop pubblico L’Europa di fronte alla crisi. Fallimenti e rinnovate speranze del progetto europeo, tenutosi a Cuneo e Savigliano (CN) nei giorni venerdì 15 e sabato 16 maggio 2015; la sezione Ricerche presenta invece una selezione di alcuni interventi dei giovani studiosi che hanno partecipato al workshop durante la VII edizione della Summer School CeSPeC, intitolata Natura, tecnica e cultura. Profili etico-pubblici del dibattito sulla natura umana e tenutasi tra il 16 e il 20 settembre 2014 nelle città di Cuneo, Alba, Savigliano e Mondovì (CN).

L’interesse del workshop primaverile si è rivolto alla questione europea, di stretta attualità e interesse multidisciplinare e trasversale rispetto ai settori scientifici di studio: i fallimenti e le speranze citati nel titolo dello stesso workshop rappresentano infatti quella che, allo stato attuale, sembra essere la situazione dell’Unione Europea. Divisa tra il sogno infranto di una comunità non soltanto politica ed economica ma anche, e soprattutto, culturale, l’Europa si è trovata, e si trova tuttora, di fronte alla complessità della condizione contemporanea, all’incrocio tra crisi, crollo della fiducia nella democrazia rappresentativa, questione migratoria e attacchi “interni” da parte del terrorismo. Un crocevia di questioni che stanno rischiando di compromettere seriamente il progetto complessivo di una unione tra i popoli e le culture del vecchio continente, nato per inserire la gestione del legame sociale e delle dinamiche politico-istituzionali all’interno di una cornice in grado di superare le lacerazioni e le rivalità del passato: gli interventi del numero contengono infatti uno dopo l’altro i differenti fallimenti europei, dal progetto monetario alla partecipazione politica, dall’identità sociale alla provenienza culturale, senza indulgere in alcuna visione edulcorata del presente ma, al contrario, mettendone in luce i punti critici. Fallimenti che, tuttavia, sono affiancati da possibili risposte o, perlomeno, analisi in grado di evidenziare vie percorribili per una concreta via d’uscita dallo stallo degli ultimi anni: queste soluzioni tengono necessariamente insieme questioni strettamente tecniche e pratiche, quali per esempio una rifondazione dei meccanismi di rappresentanza politica e nuove strategie in grado di ridare linfa all’economia, e quelle più specificamente culturali, con al centro un’idea di ricalibratura interna della questione identitaria basata su un senso di appartenenza democratica comune.

La sezione si apre con il contributo di Jean-Marc Ferry, dedicato a un’analisi circa il carattere e gli aspetti principali dell’Unione politica europea: partendo dalla polisemia del concetto di crisi, e analizzandone la portata insieme economica, politica, identitaria e sociale, Ferry sottolinea come al centro del progetto europeo, e del suo periodo di recessione, si situino il concetto di globalizzazione e, soprattutto, i giudizi e le risposte fornite nei suoi confronti. Rispetto al versante economico, che vede la presenza di un dibattito tra i sostenitori di un sovranismo nazionale e i promotori di un’adesione incondizionata al grande mercato neoliberale, Ferry sottolinea però quanto il centro della questione europea, in relazione alla globalizzazione, stia nella costruzione di una unione di stampo politico. Ed è a questo proposito che egli, nel rifiutare l’idea di un unico stato comunitario federale sovranazionale e sovrano, suggerisce quanto l’Unione europea non debba presentarsi come una “grande-nazione” ma, al contrario, assumere la forma di un cosmopolitismo giuridico e di una unione transnazionale: una soluzione in grado di difendere le democrazie nazionali e la loro sovranità, aprendo e mettendone però in comunicazione gli spazi pubblici e, soprattutto, sottoponendole a un’autorità comunitaria principale. Questa proposta, secondo Ferry, consentirebbe pertanto al progetto europeo di proteggere le nazioni dal diktat dei mercati e di non cadere nel rischio di un isolazionismo e nazionalismo forte, favorendo un costante gioco di squadra e una complementarietà economica tra gli stati membri: il tutto, sotto la guida di un’autorità comunitaria centrale ma al contempo democraticamente legittimata. Un progetto che però Ferry sottolinea come possibile soltanto in virtù di un radicale mutamento di stile, da realizzarsi tramite l’abbattimento delle barriere tra opinioni pubbliche locali e nazionali e un’apertura dei dibattiti politici alla discussione pubblica.

Il contributo di Philippe Poirier focalizza ulteriormente l’attenzione della discussione sul versante politico-istituzionale tramite una riflessione sull’avanzata, e i rischi, del populismo in Europa, con particolare riferimento alle elezioni del 2014. Il punto di partenza del ragionamento del saggio è, ancora una volta, il concetto di crisi, declinato tuttavia in questo contesto in senso strettamente politico: l’interrogativo circa l’attuale capacità degli attori istituzionali europei di parlare ai cittadini e di dare vita a narrazioni credibili si innesta infatti, nel testo di Poirier, sulla questione intorno alle differenti concezioni di democrazia presenti nella realtà europea. Analizzando uno spettro di opzioni che si estende da una democrazia esclusivamente procedurale a una redentrice, Poirier sottolinea come sia proprio all’interno di quest’ultimo gruppo che si situino le narrazioni dei populismi: narrazioni che, nonostante il loro comune riferimento a una radicale critica nei confronti della democrazia rappresentativa, manifestano tuttavia elementi specifici e spesso irriducibili gli uni agli altri, delineando un quadro fatto di movimenti politici differenziati in base al contesto di appartenenza. Ed è proprio su questo punto che si concentra lo sviluppo del ragionamento dell’autore, nel costruire una vera e propria “geografia” dei populismi europei e toccando i loro rapporti con la democrazia, le identità socio-culturali locali e il concetto di governance. Un ragionamento che arriva infine ad analizzare i rapporti di tali movimenti politici con la stessa idea di Unione europea e con i compiti normalmente attribuiti alla vita politico-istituzionale comunitaria: sono infatti i concetti di euroscetticismo e sovranismo a occupare gli ultimi paragrafi del saggio, insieme a un’analisi dei potenziali rischi di tali visioni, spesso volte a deligittimare l’operato delle istituzioni europee in campo politico, economico e giuridico e a subordinarle alle decisioni locali. Un’analisi, quella di Poirier, che tuttavia, proprio nel mettere in guardia dal rischio insito nei movimenti populistici, ribadisce in conclusione con forza la necessità di contrastare il loro operato non soltanto con concezioni meramente impersonali della democrazia: al contrario, Poirier ribadisce la necessità di ricostruire racconti politici credibili, come unico antidoto possibile all’attuale crisi di legittimità e di democrazia europea, nelle quali i cittadini possano rispecchiarsi identificandosi con specifici valori.

È Graziano Lingua a orientare invece successivamente il fuoco della discussione sulla questione dell’identità e delle possibili vie verso l’integrazione politica interne all’Unione europea. In prima battuta, Lingua analizza i limiti della posizione, esemplificata dal pensiero di Joseph Weiler, che vorrebbe inserire all’interno della Costituzione europea un riferimento alla tradizione religiosa e alle radici cristiane: un tentativo che vorrebbe quindi raggiungere il telos dell’integrazione politica sulla base di una identità culturale di matrice cristiana, condivisa e diffusa in tutto il continente. Questa posizione rivela però per Lingua non soltanto l’impossibilità di rinvenire un ethos comune europeo di matrice religiosa, a causa della stratificazione e della pluralità di confessioni, ma anche concreti rischi di integralismo e chiusura verso l’esterno. In seconda battuta, Lingua mostra poi la fecondità della posizione, di ascendenza habermasiana e ripresa anche da Jean-Marc Ferry, che pone invece al centro dell’attenzione la nozione di patriottismo costituzionale: una posizione secondo la quale l’integrazione politica europea sarebbe possibile sulla base di una condivisione di principi democratici e costituzionali e di diritti umani civili e umani fondamentali.

Con il saggio di Paolo Guerrieri il discorso si sposta poi sugli aspetti maggiormente economici del progetto europeo: con particolare riferimento al tema dell’unione monetaria e alle politiche economiche e fiscali, il contributo tenta infatti di mettere in luce, da una parte, l’attuale situazione di crisi e stasi finanziaria e, dall’altra parte, le possibili vie di uscita. Filo conduttore dell’intero ragionamento del saggio è una critica alla timidezza di alcune tra le più recenti politiche economiche comunitarie, come per esempio il Quantitative Easing (QE), la strategia Juncker e il Rapporto dei Cinque Presidenti: politiche che se da un lato sono state in grado di contribuire a una parziale ripresa post-crisi, dall’altro non sono risultate sufficientemente incisive rispetto al tessuto comunitario. Come contraltare di questa situazione, Guerrieri propone la messa a punto di un vero e proprio disegno europeo sulla crescita e l’economia: un piano attraversato da specifiche misure, quali strumenti in grado di far leva sulle politiche economiche dei governi nazionali e meccanismi di condivisione e gestione delle politiche fiscali, dell’intermediazione finanziaria e del sistema bancario. Questa strategia è secondo Guerrieri fondamentale per controbilanciare l’eccessivo attendismo e la prudenza delle politiche comunitarie di questi ultimi anni, che rischiano non soltanto di non risolvere i problemi immediati ma, oltre a ciò, di dare vita a un pericoloso ristagno, luogo privilegiato per l’avanzata di movimenti nazionalistici e l’emergere di tendenze euroscettiche.

Chiude la prima parte del numero il contributo a firma di Marco Baldassari e Alberto Quintavalla, dedicato a una puntuale analisi delle forme che lo scetticismo e le critiche nei confronti dell’Unione Europea possono assumere: critiche che, come ben evidenziato dagli autori, si presentano come evidenziatura dei suoi lati oscuri e dei suoi problemi giuridici, economici e politici. Nello specifico, sono due le linee guida che orientano il discorso di Baldassari e Quintavalla. In primo luogo, gli autori si occupano dei limiti interni, relativi cioè ai rapporti esistenti tra il diritto costituzionale europeo e l’operato delle Corti Costituzionali dei singoli stati aderenti all’Unione. Un rapporto che si presenta come una duplicità di ordinamenti: da una parte, i tentativi della realtà giuridica comunitaria di imporsi come fonte normativa primaria, dall’altra le reazioni nazionali, divise invece tra un’accettazione della convivenza e il tentativo di salvaguardare i diritti e gli ordinamenti locali dall’ingerenza europea. In secondo luogo, gli autori focalizzano poi la loro analisi sul cosiddetto vincolo esterno, rivolgendo l’attenzione del discorso ad aspetti differenti rispetto a quello strettamente giuridico. In prima istanza, le difficoltà dell’unione economica monetaria, ancora una volta attraversata da un indebolimento delle decisioni dei singoli stati e spesso considerata troppo squilibrata sul versante monetario rispetto alle concrete politiche economiche. In seconda istanza, la questione della democraticità, della sovranità popolare e del calo di partecipazione al processo decisionale da parte dei cittadini, per la quale gli autori suggeriscono, in chiusura di contributo, un superamento della dimensione meramente mediatico-teatrale a cui essa sembra essere stata confinata.

La seconda parte del numero contiene invece alcuni saggi relativi alle più recenti attività del CeSPeC: tra questi, spicca una selezione dei contributi dei giovani studiosi intervenuti durante il workshop della Summer School intitolata Natura, tecnica e cultura. Profili etico-pubblici del dibattito sulla natura umana. Al centro di queste riflessioni, che hanno integrato e si sono confrontate con i contributi degli stessi relatori della scuola estiva, il tema della settimana settembrina: il posizionamento della natura umana, la sua messa in questione, le sue possibili modifiche e il suo possibile superamento alla luce dei mutamenti tecno-scientifici e culturali. Lungo le pagine dei saggi di questa sezione ritorna infatti, sotto mutata luce e a partire da punti di vista stratificati, la domanda circa la sorte dell’essere umano e i suoi specifici confini: secondo quale registro si può parlare di natura umana? La dimensione biologico-organica della vita è l’unica dimensione a concorrere alla sua definizione, oppure essa emerge a partire da un intreccio che coinvolge, necessariamente, la sfera delle produzioni culturali, il concetto di tecnica e tecnologia e, di conseguenza, la dimensione di mutamento e superamento perenne che accompagna e caratterizza queste due ultime sfere? Partendo da registri differenti, i contributi intervengono sulla questione, mostrando come filosofia della tecnica, epistemologia, filosofia del diritto, ricostruzione storica e metafisica concorrano a delineare un complesso e stratificato quadro complessivo: la natura umana, in questo senso, si mostra come concetto che necessita di una accurata articolazione interna, in grado di evidenziarne i differenti aspetti e, soprattutto, il carattere costantemente aperto.

La sezione si apre con le pagine scritte da Emanuele Clarizio, che affrontano il tema del rapporto tra natura e cultura tramite un’analisi e un raffronto del pensiero di Georges Canguilhem e Gilbert Simondon: è infatti il pensiero di questi due autori che permette l’utilizzo del concetto di tecnologia generale, ambito di studi in grado di mostrare il nesso che si dà tra l’organico e il meccanico, tra il mondo dei viventi cioè e quello delle macchine, traghettando verso un pensiero dell’uomo e del sociale. In prima battuta, infatti, il pensiero di Canguilhem fa ricorso alla nozione di tecnologia, assimilandola a un “genere” superiore in grado di raggruppare al proprio interno la visione meccanicistica e quella organologica: secondo questa visione, studio della vita secondo leggi meccaniche e idea della tecnica come “organo” della vita non sarebbero allora altro che approcci diversi ma non contradditori, accomunati dal fatto di mostrare la sostanziale continuità tra il vivente e il biologico, da un lato, e la macchina e il meccanico dall’altro. In seconda battuta, poi, la filosofia della tecnica di Simondon configura la tecnologia generale non come una scienza delle forme specifiche e delle conformazioni ontologiche che distinguerebbero gli enti naturali da quelli meccanici, ma come una scienza delle analogie tra le procedure e le operazioni che a questi danno forma: una scienza in grado quindi di mostrare le analogie tra organico e macchina e di segnare la tecnica come trait d’union tra uomo e natura. Secondo Clarizio, pertanto, la nozione di tecnologia generale mette in gioco l’idea di quella che egli stesso definisce epistemologia analogica, capace di fare emergere una pluralità normativa: un ragionamento che, in conclusione, permette all’autore del saggio di presentare le riflessioni sulla tecnologia generale, e l’epistemologia che ne deriva, come discorsi non tanto solo sulla vita e la tecnica ma più in generale sull’uomo e sul sociale, realtà che sembrano emergere proprio all’incrocio di questi differenti e stratificati piani normativi.

Al centro del contributo di Alessandro De Cesaris emerge invece il rapporto tra cose e individui, in un’analisi volta a mettere in luce non la loro differenza ontologica ma, al contrario, il ruolo che le prime giocano nella costituzione del modo di essere specifico dei secondi. Un’indagine che De Cesaris conduce, in primo luogo, tramite il ricorso al concetto di “seconda natura”, così come inteso all’interno del pensiero di autori quali Aristotele, Hegel e John McDowell. Indagata nel suo significato metafisico, la “seconda natura” appare come hexis, abitudine, cioè abito e disposizione acquisita nel tempo tramite esercizio e ripetizione: in questo senso, essa si presenta nella forma delle virtù etiche e dianoetiche aristoteliche, acquisisce il carattere hegeliano di vero e proprio ingresso all’interno della cultura tramite l’appartenenza a un ethos e a una comunità umana vera e propria e quello, esplicitato nel pensiero di McDowell, di soglia tra la sensibilità e l’intelletto, tra la natura e la razionalità. Intesa in questo senso, la seconda natura si impone come punto di snodo in grado di segnare sia la continuità tra animale e uomo sia lo specifico del secondo rispetto al primo. Tuttavia, nelle parole di De Cesaris, una declinazione puramente intersoggettiva di questo concetto manca ancora di un elemento fondamentale, quello che intende la relazionalità non soltanto come un incrocio e uno scambio tra individui ma anche, e soprattutto, come un costante contatto reciproco tra cose ed esseri umani. È allora all’interazione uomini-cose che è dedicata l’ultima parte del saggio: è qui che De Cesaris fa infatti emergere quanto questo rapporto non sia una semplice manipolazione delle seconde da parte dei primi o, su un altro piano, una limitazione della libertà soggettiva perpetrata dall’azione di oggetti intesi come pure merci. Al contrario essa si presenta, in maniera molto più complessa, come un incrocio reciproco, nel quale il ruolo delle cose è quello di plasmare l’identità umana presentandosi come componente fondamentale della “seconda natura”. Tecnica e oggetti inanimati contribuiscono dunque a dare forma allo specifico umano nelle sue declinazioni private e pubbliche, influenzandone la condizione corporea ed emotiva, costruendo modi specifici della razionalità e plasmando le identità individuali e la dimensione comunitaria.

Il contributo di Stella Carella imprime invece al discorso una profondità maggiormente storica, soffermandosi sulle riflessioni rinascimentali di quelle che, come indica lo stesso titolo, si presentano come “proto-biotecnologie” di ascendenza alchemica. Con particolare riferimento alla riflessione di Tommaso Campanella, Carella mostra quanto già all’alba dell’età moderna fosse attivo il dibattito circa l’origine della vita, le relazioni tra tecnica e natura umana e soprattutto le possibilità di intervento sull’individuo: un dibattito proto-scientifico che si articola lungo discussioni circa la possibilità di nascita di esseri umani a partire non da unione sessuale ma da processi partogenetici della terra, ex putrefatio e da veri e proprio esperimenti in laboratorio. Ma, in questo senso, la posizione campanelliana si presenta fortemente scettica rispetto alle possibilità di riuscita di tali esperimenti. Tramite un serrato confronto con la posizione di Paracelso, Campanella afferma infatti la radicale impossibilità di tale via alchemica mostrando, con argomentazioni di stampo teologico, quanto la generazione di un corpo, a suo avviso tecnicamente possibile, non corrisponda però con quella della vita umana: per la realizzazione di quest’ultima, infatti, è necessaria infatti l’infusione dello spiritus, dell’anima, che solo un intervento da parte dell’artefice divino potrebbe realizzare. Un dibattito, questo, che mostra l’effettiva presenza trasversale nei secoli di una riflessione su quella zona di confine tra vita e non vita, tra natura e tecnica e sui possibili interventi tecnologici latu sensu che l’uomo può condurre in tale campo.

Il rapporto tra natura, tecnica cultura è infine analizzato da Francesca Tramontano in un’ottica giuridica e di filosofia del diritto. Al centro della sua riflessione, infatti, si pone l’interrogativo circa l’interpretazione e la definizione dell’umano fornita dalla specifica tecnica giuridica: un punto di vista, quello fornito dal saggio di Tramontano, che interpreta l’approccio religioso e quello profano non come elaborazioni culturali opposte e contrastanti, ma come venate e accomunate da un approccio metodologico comune rispetto all’individuazione dei caratteri dell’umano e dei suoi modi di vivere collettivamente. Lo snodo teorico centrale del ragionamento è qui individuato nel comune riferimento a un piano trascendente, utile a entrambi gli approcci filosofici e giuridici per avvicinare la questione della natura: il trascendente, in questo senso, è inteso come condizione primordiale e ideale, modello e metro di paragone, origine cioè dell’umano in grado di rendere conto dell’esistente e di valutarne, tramite un costante confronto, il grado di perfezione. Se infatti da una parte il riferimento al trascendente dal punto di vista religioso è individuato nell’idea di una origine divina dell’esistente, intesa come vera e propria opera di creazione, dall’altro lato la prospettiva profana mostra invece il suo riferimento alla trascendenza a partire dalle elaborazioni giuridiche del XVIII secolo. È infatti l’idea di uno stato di natura a rappresentare quell’origine che, seppure differente e opposta rispetto all’idea del riferimento divino, secondo Tramontano si presenta sempre come un principio regolativo, ulteriore rispetto al presente e dunque trascendente rispetto al piano dell’esistente: non soltanto quindi posizione originaria e storica, ma anche sempre principio superiore in grado di orientare l’agire umano. È a questo livello, pertanto, che si situa la reale convergenza, in campo filosofico e giuridico, tra prospettiva religiosa e profana circa l’idea di natura: una convergenza che si dà proprio nella comune necessità di definire e valutare l’umano a partire da un piano “altro”, teologicamente o concettualmente interpretato a seconda dei casi.

Nel contributo finale di Sergio Racca, esterno rispetto ai risultati della Summer School 2014, viene invece analizzata la specifica questione delle pratiche filosofiche, tramite un’analisi teorica dei rapporti tra il concetto di comunità e la cosiddetta Philosophy for Community (P4C), erede e insieme sviluppo della Philosophy for Children di Matthew Lipman. Tramite un intreccio di pensieri, che coinvolge non soltanto Lipman ma anche le filosofie di Charles Taylor e Cornelius Castoriadis, Racca propone una riflessione sul carattere e i compiti di un comunità che si trovi a essere coinvolta nella pratica filosofica della P4C: ed è nel parallelismo tra la “multidimensionalità” cognitiva lipmaniana e alcuni aspetti della riflessione tayloriana e castoriadisiana circa l’idea di comunità che Racca mette in luce quanto lo specifico della Philosophy for Community non si presenti unicamente a livello della dialettica tra regole interne e mutamenti di paradigmi, significati e sfondi di riferimento collettivi. Più nei dettagli, è invece nell’idea di caring normativo, di presa a cuore, cioè, delle sorti del legame sociale, che l’autore individua infatti il centro della trattazione: un caring che è messo in collegamento con l’idea di società civile, nella convinzione che sia a livello dell’azione di specifici settori non istituzionali della società che la P4C possa trovare il proprio luogo di applicazione privilegiato.

Chiude infine il numero la sezione Recensioni, aperta dal contributo di Cristina Rebuffo dedicato al volume di Ines Testoni intitolato L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education. Successivamente è Gabriele Vissio a presentare in sintesi il lavoro di Mark Hunyadi, La Tyrannie des modes de vie. Infine, la sezione presenta la recensione di Francesco Striano dedicata alla Trilogia della nuova utopia di Arrigo Colombo.


Indice

 

Questioni

J.-M. Ferry, In nome della solidarietà, in nome della responsabilità!

P.Poirier, Cittadini europei e populismo europeo: quali democrazie dopo le elezioni europee del 2014?

G. Lingua, Identità religiose e crisi dell’integrazione politica europea

P. Guerrieri, L’elevata posta in gioco in Europa. L’Ue tra rischi di frantumazione e rilancio del processo d’integrazione

M. Baldassari, A. Quintavalla, The Dark Side of the Moon. L’“euroscetticismo” nel diritto europeo

 

Ricerche

E. Clarizio, Dalla “tecnologia generale” alla filosofia sociale. L’epistemologia analogica di Canguilhem e Simondon

A. De Cesaris, Le estensioni dell’individuo. Seconda natura e mondo delle cose

S. Carella, Proto-biotecnologie all’inizio dell’età moderna. Alcune questioni campanelliane

F. Tramontano, Riflessioni metodologiche intorno al concetto di natura fra religioso e profano

S. Racca, Dagli immaginari sociali alla società civile: le pratiche filosofiche e la comunità di ricerca tra Castoriadis, Taylor e Lipman

 

Recensioni

[C. Rebuffo] Ines Testoni, L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education

[G. Vissio] Mark Hunyadi, La Tyrannie des modes de vie

[F. Striano] A. Colombo, Trilogia della nuova utopia