Trasparenza.
Riflessioni estetiche, implicazioni politiche

(XIV, n.2, 2023)

A cura di Graziano Lingua (Università di Torino) e Francesco Striano (Università di Torino – Collège des Bernardins, Paris).

Il numero 2/2023 del Lessico di Etica Pubblica vuole interrogarsi da un punto di vista filosofico, giuridico-politico e sociale sul concetto di trasparenza, sulla sua storia e sulla sua influenza nella definizione dello spazio pubblico, soprattutto a partire dalla fortuna che esso sta avendo nella società digitale contemporanea.
La nozione di trasparenza, nel suo significato originario in fisica, indica la proprietà posseduta da un materiale di poter essere attraversato dalla luce, mostrandoci quindi ciò che si trova al di là di esso. Un materiale, quanto più è trasparente, tanto più efficacemente si nasconde e dà l’impressione di non esserci.
La fortuna dell’uso metaforico di questo concetto risiede in questa sua ambiguità: un oggetto, un’istituzione, una pratica sono “trasparenti” nella misura in cui esistono e esercitano la propria funzione non apparendo, come se non ci fossero. Per questo la trasparenza diventa sinonimo di apertura illimitata e accesso diretto alla realtà. Essa tende ad occultare la natura dei processi di mediazione che sono comunque in gioco e le zone d’ombra che accompagnano ogni processo che si pretende trasparente.
Sin dagli albori della società digitale, pertanto, “trasparenza” è diventata una parola chiave, nella convinzione che l’accesso a un’enorme massa di informazioni potesse spalancarci le porte di una totalità trasparente, migliorando così la nostra conoscenza del mondo, degli eventi, dei processi deliberativi e decisionali. Essa si è trasformata in un vero e proprio imperativo che ha fatto della disintermediazione l’antidoto alle opacità del potere e la condizione essenziale per una vera partecipazione democratica. Tale imperativo non si è manifestato unicamente a livello politico nel rapporto verticale tra cittadini e governanti, ma si è esteso anche a livello orizzontale nelle relazioni sociali e nella vita quotidiana. In ogni ambito la trasparenza sembra oggi elevarsi a valore assoluto, facendo dimenticare l’ambiguità originaria di questo concetto. Questo entusiasmo per la visibilità totale elude però un dato di fatto: la trasparenza non è l’assenza di mediazione e quella che definiamo come “disintermediazione” non è altro che una diversa forma di mediazione. Un medium “trasparente” permette di vedere una porzione di realtà, ma ne nasconde un’altra. Ogni relazione sociale che si pretende trasparente è in realtà guidata da scelte individuali e collettive che strutturano specifici “regimi di visibilità”.
Da questa ambiguità e dal suo occultamento derivano alcuni problemi che una riflessione critica sulla cultura e sulla società deve oggi affrontare. Da un punto di vista innanzitutto estetico-percettologico, le tecnologie digitali sembrano permetterci un accesso diretto, immediato e trasparente al mondo e alle informazioni. Tuttavia, quanto questa trasparenza è effettivamente sinonimo di immediatezza? È possibile che ciò che sembra trasparente nasconda sfumature non visibili, manipolazioni, bias percettivi e cognitivi? Come cambiano le esperienze percettive nell’era digitale, in cui le immagini e i dati sembrano immediatamente chiari, nonostante i crescenti livelli di mediazione necessari alla loro elaborazione?
In prospettiva politica, le tecnologie digitali promuovono la disintermediazione, in nome di un accesso diretto ai processi politici e alle decisioni. Ma questo cambiamento radicale ha un impatto positivo sulla qualità della democrazia, o è un’illusione che può nascondere forme ancora più subdole di potere? Come sono cambiati o stanno cambiando i processi decisionali e la partecipazione politica nell’era digitale – dai social network come mezzo di affermazione politica o di attivismo, all’introduzione di algoritmi di decision making? Quali sfide presenta la diffusione delle intelligenze artificiali generative, dove l’immediatezza di quanto producono le macchine è frutto di molteplici livelli di mediazione computazionale? Può essere la disintermediazione nell’accesso alle informazioni una delle cause della crisi dei mediatori esperti, come quella di medici e scienziati alla quale abbiamo assistito durante la pandemia da Covid-19? La diffusione e il successo delle fake news si possono spiegare con una carenza di trasparenza, oppure sono il prodotto di un’applicazione ideologicamente viziata del principio di trasparenza stesso?
Queste ed altre problematiche impongono una ritematizzazione dell’idea di trasparenza, del suo significato, della sua storia e dei rischi che la caratterizzano.
A partire dalle questioni sopra enunciate, il numero si propone di raccogliere contributi incentrati su – ma non limitati a – una trattazione della trasparenza in relazione alle seguenti tematiche:

• Genesi, storia e fortuna del concetto di trasparenza
• Mediazioni e immediatezza
• Valore testimoniale dell’immagine
• Limitazione o potenziamento dell’esperienza percettiva nell’era digitale
• Bias percettivi e cognitivi
• Concezioni giuridiche della trasparenza
• Disintermediazione e democrazia
• Crisi delle mediazioni esperte
• Fake news e manipolazione delle informazioni
• Machine learning, intelligenze artificiali e processi decisionali
I saggi idonei al processo di blind review e uniformati secondo le norme redazionali della rivista dovranno pervenire entro il 31 marzo 2024 ai seguenti indirizzi mail: transparency.lep@gmail.com e redazione.eticapubblica@gmail.com.

Saranno accettati contributi in italiano, inglese e francese.

Lunghezza massima: 30.000 battute spazi e note inclusi.

I contributi devono essere conformi alle norme redazionali.

Autrici e autori sono inoltre invitati a utilizzare il foglio di stile della rivista.

Per informazioni, è possibile contattare i curatori agli indirizzi graziano.lingua@unito.it e francesco.striano@unito.it.

ENGLISH:

Transparency.
Aesthetic Reflections, Political Implications

(XIV, n.2, 2023)

Edited by Graziano Lingua (Università di Torino) and Francesco Striano (Università di Torino – Collège des Bernardins, Paris).

The 2/2023 issue of Lessico di Etica Pubblica aims to question from a philosophical, legal-political, and social point of view the concept of transparency, its history, and its influence in defining public space, especially starting from the fortune it is having in contemporary digital society.
The notion of transparency, in its original meaning in the realm of physics, indicates the property possessed by a material, allowing light to pass through, thus enabling the observer to see what is behind the material. An object the more transparent it is, the more effectively hides itself and gives the impression of not being there. The success of the metaphorical use of this concept lies in this ambiguity: an object, an institution, or a practice is “transparent” to the extent that it exists and exercises its function without appearing. For this reason, transparency becomes synonymous with unlimited openness and direct access to reality. It tends to hide the nature of the mediation processes that are nevertheless at play and the grey areas that accompany every process that claims to be transparent.
Since the dawn of the digital turn, “transparency” has become a keyword in the belief that access to an enormous mass of information could open the door to a transparent totality, thus improving our knowledge of the world, events, and deliberative and decision-making processes. It has transformed into a real imperative that has made disintermediation the antidote to the opacity of power and the essential condition for true democratic participation. This imperative has not only manifested itself at a political level in the vertical relationship between citizens and rulers but has also extended horizontally in social relations and everyday life. In every area today, transparency seems to rise to an absolute value, making us forget the original ambiguity of this concept. This enthusiasm for total visibility eludes a fact: transparency is not the absence of mediation, and what we define as “disintermediation” is nothing more than a different form of mediation. A “transparent” medium allows you to see a portion of reality but hides another. Every social relationship that claims to be transparent is guided by individual and collective choices that structure specific “visibility regimes.”
From this ambiguity and its concealment derive some problems that a critical reflection on culture and society must face today. From an aesthetic-perceptual point of view, digital technologies seem to allow us direct, immediate, and transparent access to the world and information. However, how much is this transparency synonymous with immediacy? Is it possible that what seems transparent hides invisible nuances, manipulations, and perceptual and cognitive biases? How do perceptual experiences change in the digital age, where images and data seem immediately apparent despite the increasing levels of mediation necessary for their processing?
From a political perspective, digital technologies promote disintermediation in the name of direct access to political processes and decisions. But does this radical change positively impact the quality of democracy, or is it an illusion that can hide even more subtle forms of power? How have decision-making processes and political participation changed in the digital age – from social networks as a means of political affirmation or activism to the introduction of decision-making algorithms? What challenges does the spread of generative artificial intelligence/machine learning present where the immediacy of what machines produce results from multiple levels of computational mediation? Can disintermediation in access to information be one of the causes of the crisis of expert mediators, like that of MDs and scientists witnessed during the COVID-19 pandemic? Can a lack of transparency explain the spread and success of fake news, or are they the product of an ideologically flawed application of the principle of transparency itself?
These and other issues impose a rethinking of the idea of transparency, its meaning, its history, and risks.
Starting from the questions mentioned above, this topical issue aims to collect contributions focused on – but not limited to – a discussion of transparency concerning the following themes:

• Genesis, history, and fortune of the concept of transparency
• Mediations and immediacy
• Testimonial value of the image
• Limitation or enhancement of perceptual experience in the digital age
• Perceptual and cognitive biases
• Legal conceptions of transparency
• Disintermediation and democracy
• Crisis of expert mediation
• Fake news and manipulation of information
• Machine learning, artificial intelligence, and decision-making processes

Essays prepared for blind review process and standardized according to the editorial standards of the journal must be received by March 31, 2024 at the following email addresses: transparency.lep@gmail.com and redazione.eticapubblica@gmail.com.

Contributions in Italian, English, and French will be accepted.

Maximum length: 30,000 characters including spaces and notes.

Contributions must comply with editorial standards.

Authors are also invited to use the journal’s style sheet.

For information, you can contact the editors at graziano.lingua@unito.it and francesco.striano@unito.it.

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Corpi, immagini, reti.
Lo spazio digitale come spazio pubblico

(XIV, n.1, 2023)

A cura di Flora Geerts (Università di Torino), Andrea Osti (Università di Genova), e Francesco Pisano (Università di Napoli “Federico II”).

Il numero 1/2023 di Lessico di Etica pubblica vuole indagare le trasformazioni dello spazio pubblico e dei soggetti che lo abitano alla luce del suo intreccio con il cosiddetto “spazio digitale”. Anche limitandoci a una nozione ristretta di spazio pubblico come luogo collettivo dell’incontro, interazione, condivisione e negoziazione reciproca dell’identità tra più soggetti incarnati, fra corpi viventi e reciprocamente esposti, assistiamo già all’emergenza di problemi relativi al ruolo e alla funzione trasformativa delle tecnologie digitali rispetto a esso.

La pandemia di Covid-19 ha contribuito a rendere evidenti numerosi processi di ibridazione, attraverso tecnologie digitali, tra dimensione pubblica e privata. Tali processi hanno messo in crisi una distinzione fondamentale per la nostra cultura, quella tra spazio privato e spazio pubblico. Ad esempio, le interfacce digitali si propongono sempre più spesso come equivalenti funzionali di spazi fisici una volta esplicitamente dedicati ad attività determinate: l’aula, l’ufficio, la sala conferenze. In questa prospettiva, il cosiddetto “spazio digitale” diventa uno dei possibili campi della mediazione simbolica dell’ambito collettivo. L’immagine funziona come veicolo portante di tale mediazione: le rappresentazioni digitali con cui agiamo e interagiamo in questo tipo di spazio sembrano essere, anzitutto, tipi di immagine. Possiamo quindi pensare agli spazi digitali come a una rete di immagini – icone, oggetti virtuali, interfacce grafiche, fotografie digitali – che attraversa e colonizza una rete di corpi. All’inverso, è possibile pensare agli spazi pubblici come una rete di corpi innervata da una rete di immagini. Tale compenetrazione ristruttura in modo significativo le modalità con cui i soggetti si costituiscono e interagiscono all’interno dei nuovi ambienti digitalizzati, comportando nuove potenzialità e nuovi rischi. Questo nuovo scenario richiede analisi approfondite di ordine teoretico, antropologico, etico ed estetico.

Un primo ordine di problemi è implicato nella presunta spazialità del digitale. Se il digitale è uno spazio, il suo carattere iperbolico e la sua tendenza all’ibridazione con altri tipi di luoghi mettono a rischio e al contempo aprono nuove possibilità per l’identità dei soggetti che attraverso di esso si esprimono e operano. In che misura possiamo effettivamente parlare di uno spazio digitale? Si tratta di una metafora o di una descrizione? Come ridescrivere gli eventuali confini che dovrebbero circoscrivere questo eventuale spazio digitale e costituirlo come tale? Le azioni del soggetto digitale si connettono potenzialmente a un’infinità di nodi in perpetua espansione. Come pensare, quindi, i processi di negoziazione dell’identità degli individui e dei gruppi sociali coinvolti nelle interazioni che vengono a formarsi in un simile spazio? In che modo le nuove piazze digitali ristrutturano i rapporti tra privato e pubblico, individuale e collettivo?

Il problema dell’eventuale spazialità del digitale è strettamente connesso alla relazione che l’ambiente digitale intrattiene con i corpi fisici e, anzitutto, con i corpi viventi. In generale, siamo abituati a pensare all’interazione con i media digitali come a un processo essenzialmente disincarnato. Possiamo ancora ritenere che sia così, alla luce dell’intreccio sempre più pervasivo tra spazio digitale, spazio privato e spazio pubblico? Del resto, pensare invece il soggetto digitale come incarnato e vivente comporta nuovi problemi: se lo spazio digitale si configura come una rete che pluralizza costitutivamente i suoi soggetti attraverso le loro immagini, come pensare l’unità di un corpo vivente che si riverbera in una moltiplicazione ricorsiva delle sue rappresentazioni?

Da qui emergono poi domande che riguardano l’interazione fra più corpi viventi in uno spazio pubblico costituito attraverso mediazioni simboliche digitali. Le immagini digitali del corpo, inserite in processi algoritmici sempre più complessi, sono soggette sia a un utilizzo impersonale entro processi di deep-learning sia a una manomissione attiva e mirata: pensiamo ai deepfake. La digitalizzazione dello spazio pubblico ci consegna, in generale, nuove questioni etiche e politiche. Come possiamo formulare dei criteri decisionali per un uso etico delle rappresentazioni digitali? Quali sono gli atteggiamenti che dobbiamo assumere nei confronti di tali rappresentazioni, alla luce di questa nuova configurazione tra spazi, corpi e immagini digitali? Quali sono le nuove modalità con cui dobbiamo dubitare o accordare fiducia a queste immagini?

Tutti questi problemi presuppongono una decisione circa la presenza del corpo nello spazio pubblico digitalizzato, cioè circa la spazializzazione del digitale. Si ritorna, così, al punto iniziale, ma con la consapevolezza che la spazializzazione del digitale è, allo stesso tempo, una digitalizzazione dello spazio: cosa accade, ad esempio, alle stesse immagini digitali, una volta tradotte in rappresentazioni non-digitali – e viceversa?

A partire da tali questioni, il numero della rivista vorrebbe accogliere – in modo non esclusivo – contributi che approfondiscano i seguenti temi:

– Spazialità del digitale e digitalizzazione dello spazio pubblico.
– Identità, processi di soggettivazione e di formazione di comunità entro lo spazio pubblico
digitalizzato.
– Funzione e statuto del corpo fisico e/o vivente e/o immaginato, in tutte le sue variazioni, nell’ambito digitale dello spazio pubblico.
– Affidabilità epistemica delle rappresentazioni digitali e implicazioni etiche della loro gestione in prospettiva sociale e pubblica.

I saggi dovranno pervenire entro il 15 aprile 2023 (prorogata dal 28 febbraio) ai seguenti indirizzi mail: retidicorpi2022@gmail.com e redazione.eticapubblica@gmail.com.

Saranno accettati contributi in italiano, inglese e francese.

Lunghezza massima: 30.000 battute spazi e note inclusi.

Gli autori dovranno far pervenire il saggio in forma anonima in vista della double-blind peer review e un documento separato in cui vengono indicati i contatti base (nome, cognome, titolo del contributo, affiliazione, contatto mail).

Per informazioni, è possibile scrivere a: andrea.osti@outlook.it, flora.geerts@unito.it, francesco.pisano@unifi.it .

CFP-LEP-1-2023-ITA (deadline aggiornata)

CFP-LEP-1-2023-ENG (deadline extended)

 

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The Italian constitutional reform on the protection of the environment and the impact on migration and asylum: legal and ethical perspectives

(XIII, n. 2, 2022)

Edited by Francesca Biondi Dal Monte (Sant’Anna School of Advanced Studies) & Emanuele Rossi (Sant’Anna School of Advanced Studies)

In recent years, a global trend of increasing recognition of the right to a healthy environment and environmental protection has emerged. The Constitutional Law No. 1 of 11 February 2022 on ‘Amendments to Articles 9 and 41 of the Constitution on environmental protection’ (Official Gazette No. 44 of 22 February 2022) follows this trend and approved the reform of Articles 9 and 41 of the Italian Constitution. In particular, it introduces the protection of the environment, biodiversity and ecosystems, also in the interest of future generations, among the fundamental principles of the Italian Constitution (Article 9), and states that economic initiative shall not damage health and the environment, along with security, freedom and human dignity (Article 41). The express reference to environment protection in the Italian Constitution paves the way for deeper reflections upon the protection to be offered to migration triggered by environmental factors, also in light of intergenerational solidarity.

  • Will the present reform have any impacts on migration and asylum law, policy and governance in Italy? If so, to what extent will this provision influence existing provisions, including those related to migrants and international protection-seekers’ protection?
  • Can migrants and international protection-seekers’ interest be included in the “interest of future generations” of Article 9?
  • Do discourses of intergenerational justice, equity and solidarity have a role to play in fostering the application and interpretation of this reform in practice?
  • What are the ethical implications of the inclusion of the interest of future generations in the Italian Constitution?
  • How can the economic initiative and its newly established limits deal with the respect and fulfilment of migrants and international protection-seekers’ rights and what are the ethical perspective of these limits?
  • Does a legal, solidaristic, moral and/or ethical obligation exist at the basis of the protection against environmental causes of migration?

We invite authors to explore these and other aspects of the impacts of the mentioned Constitutional reform on migration and asylum in Italy from an interdisciplinary perspective, including but not limited to, branches of law, ethics, political science and philosophy.

The call for paper developes some of the topics analyzed in the framework of the Jean Monnet Module MARS “Migration, Asylum and Rights of Minors”, supported by the European Union in the framework of the Erasmus+ Programme (www.mars.santannapisa.it ).

Submissions can be either in English or Italian, and they should be no more than 8.000 words in length (including notes and references).

Please, submit your manuscripts to: francesca.biondi@santannapisa.it and emanuele.rossi@santannapisa.it

Invited authors: Alberto Pirni, Paolo Bonetti, Anna Brambilla, Antonello Ciervo, Chiara Scissa.

Submission Deadline: 30th October 2022

Manuscripts must adhere to author guidelines

Authors are also invited to use the following layout sheet

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Basic Needs: Normative Perspectives

(XIII, n. 1, 2022)

Edited by Lukas Meyer (Universität Graz) & Alessandro Pinzani (Universidade Federal de Santa Catarina)

In recent years the debate on basic needs and their place in normative theories of ethics and politics has been rekindled. This controversial concept has finally been openly adopted by authors who adopt different approaches to discuss issues of social justice. There are good reasons for this.

As a currency of justice, needs have several advantages. First, in contrast to preferences, desires, and some other currencies, basic needs are fully objective, i.e., whether a person has a basic need for a certain thing is independent of her own or anybody else’s mental attitudes towards that thing. A second important reason for preferring basic needs as the currency of justice is that they are also universal, although their definition might be culturally influenced. Thirdly, basic needs are intrinsically morally demanding: that P has a basic need for O by itself entails that P ought to be able to have, be, realize, etc. O. Finally, basic needs also have an important advantage in the particular context of sufficientarianism. One of the main objections against sufficientarianism is that it is unable to provide a plausible substantive specification of its threshold of sufficiency. The concept of basic needs, in contrast, essentially entails the idea of a qualitative difference. Being able to fulfill such needs takes precedence over being able to fulfill non-basic needs and desires. Moreover, it distinguishes a life that has a certain minimum quality from a life that lacks this quality.

We invite authors to explore these and other aspects of the concept of basic needs and its use for normative theories of social justice, including intergenerational justice.

Submissions can be in English, Italian, German, and French, and they should be no more than 8.000 words in lenght (including notes and references).

Please, submit your manuscripts to lukas.meyer@uni-graz.at and alessandro@cfh.ufsc.br

Invited authors: Lukas Meyer and Thomas Pölzler; David Miller; Daniel Petz; Alessandro Pinzani

 Submission Deadline: 15th June 2022.

Deadline Extension: 30th September 2022.

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I doveri e la “cosa pubblica”. Linee di etica per il cittadino e le istituzioni

(XII, n. 2, 2021)

A cura di Alberto Pirni (Scuola Superiore Sant’Anna) e Alessandro Chiessi (Scuola Superiore Sant’Anna)

Il secondo numero del 2021 di Lessico di etica pubblica apre ai contributi incentrati sull’approfondimento circa il tema del dovere e specificatamente l’indagine dei doveri dei funzionari pubblici inquadrati all’interno della disciplina giuridica, anche sotto il profilo delle sanzioni (disciplinari) in caso di infrazione.

La questione dei doveri si intreccia allora con l’esercizio dei poteri pubblici da parte delle istituzioni e dalla necessità di garantire che esso sia, nello stesso tempo, funzionale (economico, efficiente, efficace) ed imparziale.

La garanzia non può limitarsi all’azione pubblica (le garanzie nel processo e nel procedimento), ma deve risalire alla stessa organizzazione delle istituzioni pubbliche. Solo istituzioni pubbliche ben organizzate danno ai cittadini garanzia di imparzialità. Qui il riferimento è alle garanzie costituzionali (art. 54, 97, 98) ma, insieme ad esse, a quelle poste dalla legge ordinaria, soprattutto dalla legislazione di prevenzione della corruzione (legge 190/2012).

Oltre alla dimensione deontica, si vogliono indagare i valori che caratterizzano il lavoro pubblico e la loro relazione con le finalità istituzionali. In questa prospettiva l’analisi dei Codici di comportamento come strumenti giuridici che catalizzano i doveri dei pubblici funzionari, sono considerati un punto nodale per attuare un’indagine sulla relazione doveri/finalità istituzionali e valori.

Lessico di etica pubblica ospita le riflessioni di invited contributors di rilievo nazionale e internazionale e selezionando tramite la presente call for papers contributi che:

 Analizzeranno teoricamente il concetto di dovere;

  • indagheranno i rapporti fra i diversi doveri dei funzionari;
  • indagheranno la relazione tra dovere e potere nelle Istituzioni pubbliche;
  • indagheranno la relazione doveri/finalità istituzionali e valori
  • approfondiranno le implicazioni normative delle leggi collegate alla lotta alla corruzione;
  • approfondiranno le implicazioni normative dei principi costituzionali legati all’operato del funzionario pubblico.

 I contributi idonei al processo di blind-review e uniformati secondo le norme redazionali della rivista dovranno essere inviati

entro il 15 ottobre 2021

agli indirizzi:

alberto.pirni@santannapisa.it,

alessandro.chiessi@santannapisa.it

redazione.eticapubblica@gmail.com,.

Sarà comunicata accettazione ed eventuale richiesta di integrazioni entro il 15 novembre 2021. Il numero 2/2021 sarà pubblicato a febbraio 2022.

Si accettano contributi sia in italiano che in inglese (i contributi inviati in lingua inglese saranno tradotti in italiano) preceduti da un abstract in italiano e inglese di massimo 150 parole comprensive delle parole chiave (keywords) in inglese.

Lunghezza massima: 30.000 battute spazi e note inclusi.

Call in italiano

English call

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 La crisi inattesa: ingiustizie sociali e decisioni pubbliche alla prova di Covid-19

(XII, n. 1, 2021)

a cura di Paolo Monti (Università Cattolica del Sacro Cuore), Cristina Rebuffo (Lessico di
Etica Pubblica), Davide Sisto (Università degli Studi di Torino)

L’impatto globale della pandemia di Covid-19 ha reso manifeste fin da subito alcune latenti fragilità delle società contemporanee, in larga parte risultato di scelte politiche e trasformazioni socio-economiche che negli ultimi decenni hanno teso ad allocare risorse e a costruire progettualità in base a priorità che le hanno rese particolarmente vulnerabili di fronte a sfide inattese come quella attuale. In questo senso, il contesto emergenziale ha messo in luce una moltitudine di ingiustizie sistemiche preesistenti di cui la crisi ha tuttavia contribuito a evidenziare aspetti inediti: in campo economico, nella forma di nuove ingiustizie legate al reddito e alla precarietà, ma pure di ineguale distribuzione delle risorse fra le diverse regioni (all’interno dei singoli paesi e fra le diverse aree del mondo); nella società civile, il radicamento di discriminazioni su base etnica, culturale, religiosa e di genere, la presenza diffusa di condizioni di vulnerabilità legate alla violenza domestica, alle tossicodipendenze o alla detenzione carceraria.

Contemporaneamente, è tornata in primo piano l’esigenza di prendere decisioni pubbliche che facciano fronte a tali criticità, sia nel breve periodo della risposta alla crisi sanitaria, sia nel più lungo periodo, a partire da una presa d’atto consapevole delle fragilità e iniquità sociali che la pandemia ha appunto fatto emergere e aggravare. In questo senso, per le istituzioni politiche, sanitarie ed economiche, la pandemia di Covid-19 è stata uno stress test inatteso della loro capacità di svolgere e giustificare processi decisionali in tempi di emergenza, con la necessità di coniugare l’efficienza della risposta e il riferimento a criteri di giustizia condivisi; parallelamente, con il passare dei mesi si è fatto prepotente l’interrogativo circa l’effettiva possibilità da parte di queste istituzioni di orientare a lungo termine lo sviluppo sociale ed economico su direttrici innovative, che sappiano proficuamente prendere le mosse dalle  consapevolezze maturate durante e a seguito dell’emergenza.

All’interno del dibattito delle scienze umane e sociali, alcune voci hanno cercato di istituire una prima articolazione di questa ampia area problematica. Tali analisi hanno attraversato una serie di questioni quali la discussione dei dilemmi nel campo della bioetica clinica che emergono nei momenti di inedita emergenza e scarsità di risorse, la  rilettura del concetto di responsabilità sociale d’impresa nel contesto di una crisi sistemica, la critica dei criteri in base ai quali viene attribuito valore alle diverse attività educative e assistenziali nel paradigma di un capitalismo globale, la riflessione sull’equilibrio fra libertà individuali e tutela del bene pubblico e sui connessi rischi di un ritorno della politica come luogo della decisione nello stato di eccezione, in inevitabile tensione con i modelli di democrazia deliberativa e partecipativa.

A partire da questa preliminare mappatura, le scienze umane e sociali, e in particolare la riflessione filosofica nell’ambito dell’etica pubblica e della teoria politica, sono dunque oggi chiamate a interrogarsi sull’impatto che la crisi ha avuto, e in larga misura sta continuando ad avere, sulle concezioni di giustizia e sulle conseguenti strategie di risposta e resistenza alle svariate forme di ingiustizia e discriminazione che la pandemia ha messo in evidenza. Soprattutto, si rende necessario guardare oltre la fase emergenziale per interrogarsi più profondamente sugli squilibri sistemici illustrati dalla crisi, cominciando a delineare quali siano gli apprendimenti che questa stagione potrà lasciare per il futuro della riflessione etico-politica.

In questo contesto, si attendono contributi che possano coprire, fra le altre, le seguenti aree:

  1. Area medica e bioetica, con particolare attenzione all’analisi delle scelte dilemmatiche in ambito clinico e del rationing delle risorse in situazioni emergenziali (criteri di priorità, modelli deontologici e utilitaristi, principi di giustizia nei sistemi sanitari).
  2. Area sociologica e di filosofia sociale, con particolare attenzione all’analisi delle concezioni della vulnerabilità e della povertà dopo la pandemia (funzione di cittadinanza dell’istruzione pubblica e impatto del digital divide, paralisi del terzo settore, significato della cura nel servizio a bambini e disabili in condizioni di isolamento, giustizia e condizioni di detenzione, iniquità delle condizioni abitative durante il lockdown).
  3. Area etico-sociale, con particolare attenzione alle politiche di organizzazione del lavoro e alle connesse forme di ingiustizia (disparità etniche e di genere, conseguenze della precarizzazione, responsabilità nei confronti degli stakeholder).
  4. Area tanatologica e di filosofia delle religioni, con particolare attenzione all’analisi della sofferenza e del lutto come questione pubblica (ruolo e assistenza degli anziani all’interno della società, questioni connesse ai riti religiosi di fine vita, anche in ordine alla tutela della libertà di culto e alla parità di trattamento nei confronti delle minoranze religiose).
  5. Area di filosofia della scienza e della comunicazione, con particolare riferimento al problema del rapporto fra verità e decisioni pubbliche (“infodemia” e comportamenti antisociali, ambivalente contributo dei social media e della comunicazione scientifica)
  6. Area politico-economica, con particolare attenzione al tema delle scelte pubbliche nell’assegnazione di priorità e nella distribuzione delle risorse (rapporto fra decisione e deliberazione nelle situazioni di emergenza, distribuzione e privatizzazione delle risorse destinate ai beni comuni, tensione fra libertà individuali e tutela della collettività).
  7. Area filosofico-politica, con particolare attenzione ai temi della giustizia globale fra crisi sanitarie e ambientali (sovranismi e globalismi di fronte alle sfide dell’interconnessione planetaria, solidarietà internazionale e governance globale, paradigmi di giustizia globale fra rischio ecologico, climatico e pandemico, responsabilità verso le generazioni future).

A questi temi la rivista “Lessico di etica pubblica” intende dedicare il numero monografico 1/2021, che conterà contributi che sapranno rispondere alle questioni esposte e che saranno selezionati attraverso la presente call for papers, ospitando altresì contributi invitati di studiosi/e di profilo nazionale e internazionale che si siano confrontati su tali questioni.

I saggi dovranno essere inviati entro il 12/04/2021 agli indirizzi e-mail dei curatori: paolo.monti@unicatt.it; rebuffocristina@gmail.com; davidegiovanni.sisto@unito.it, redazione.eticapubblica@gmail.com.

I file dovranno essere uniformati alle norme redazionali della rivista.

Si accettano contributi in italiano o in inglese (la cui traduzione in italiano sarà curata dalla Redazione) di massimo 35.000 battute (spazi e note inclusi), corredati di un abstract in italiano e uno in inglese di massimo 150 parole ciascuno, predisposti in una forma anonima compatibile con la procedura di blind review; in un file a parte allegato allo stesso invio, indicare nome e cognome dell’autore, indirizzo di posta elettronica, titolo e abstract del contributo.

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Ipocrisia. Simulazione e dissimulazione nella sfera pubblica

(XI, n. 2, 2020)

a cura di Leonard Mazzone

A differenza dei classici lemmi che hanno attirato l’attenzione dei critici sociali dall’antica Grecia ai giorni nostri – dall’errore (Platone) al cinismo (Sloterdijk), passando attraverso la menzogna (Agostino, Kant) e l’ideologia (Marx) – la categoria di ipocrisia è stata in larga parte trascurata dalla filosofia. Una delle ragioni principali a monte di questa disattenzione filosofica consiste nella riduzione dell’ipocrisia a un caso particolare della menzogna o a una forma particolarmente subdola di cinismo, che all’ostentata auto-affermazione del soggetto preferirebbe la più prudente e, spesso, efficace strategia indiretta del mascheramento. Nell’uno e nell’altro caso, però, si finisce per assecondare una concezione assai riduttiva del fenomeno: a differenza della menzogna, l’ipocrisia può anche essere involontaria (non si può, invece, mentire senza volerlo); diversamente dalle ben note forme di cinismo mascherato esemplificate da personaggi letterari come il Tartufo di Molière, inoltre, l’ipocrisia può consistere anche in svariate forme disinteressate o, addirittura, altruistiche di inganno.

La mancanza di un approfondimento del concetto di ipocrisia, delle sue sfumature e delle sue implicazioni è tutt’altro che secondaria, perché rende impossibile riuscire a cogliere adeguatamente un fenomeno che sembra comunque costitutivo delle interazioni nella sfera pubblica: le varie forme del simulare e dissimulare, del darsi o non darsi a vedere, rispetto agli altri e rispetto a se stessi.

A questo vuoto di attenzione teorica il presente numero di Lessico di etica pubblica intende porre rimedio, ospitando le riflessioni di invited contributors di rilievo nazionale e internazionale e selezionando tramite la presente call for papers contributi che:

  • tenteranno di elaborare una distinzione accurata e argomentata del fenomeno dell’ipocrisia rispetto alle nozioni di menzogna e/o ideologia;
  • indagheranno i rapporti fra l’ipocrisia e uno o più dei seguenti fenomeni sociali, solitamente annoverati fra le patologie sociali della società moderna: dalla dissimulazione all’inautenticità, passando attraverso l’alienazione e l’incoerenza;
  • indagheranno la problematizzazione dell’ipocrisia nell’opera di autori che hanno dato un contributo particolarmente decisivo nel rinnovamento del significato del concetto lungo la storia della filosofia;
  • approfondiranno le implicazioni normative dell’ipocrisia in politica, con particolare attenzione al contesto delle democrazie costituzionali;
  • analizzeranno criticamente le possibili nuove forme di ipocrisia che si sviluppano o potrebbero svilupparsi all’interno della società della trasparenza e della disintermediazione informatico-digitale.

I contributi dovranno essere inviati entro il 01 novembre 2020 agli indirizzi leonardmazzone84@gmail.com e redazione.eticapubblica@gmail.com, idonei al processo di blind-review e uniformati secondo le norme redazionali della rivista.

Sarà comunicata accettazione ed eventuale richiesta di integrazioni entro il 15 dicembre 2020 e la definitiva pubblicazione del numero avverrà entro febbraio 2021.

Si accettano contributi sia in italiano che in inglese (i contributi inviati in lingua inglese saranno tradotti in italiano) preceduti da un abstract di massimo 150 parole.

Lunghezza massima: 35.000 battute spazi e note inclusi.

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Lo “spirito sportivo”: l’agonismo e le sue declinazioni

(XI, n. 1, 2020)

a cura di Sara Nosari e Federico Zamengo

In epoca contemporanea, lo sport costituisce senza dubbio un ambito di interesse scientifico eterogeneo e denso di implicazioni filosofiche, socio-politiche, etico-morali e pedagogiche. Se oggi questa dimensione dell’esistenza umana è spesso collegata al benessere psico-fisico di tutte le generazioni (giovani e meno giovani), è altrettanto vero che nell’immaginario collettivo le dinamiche sportive costituiscono anche una valida metafora per descrivere la vita o alcuni suoi passaggi. Nelle nostre conversazioni quotidiane, infatti, non mancano espressioni che rimandano in modo palese al gergo sportivo. Così, ad esempio, d’innanzi a un faticoso impegno che sta per concludersi, si è soliti incoraggiare “Forza, un ultimo sforzo, ultimo chilometro”. O ancora, di fronte a un’attività, o a un progetto diventa importante “giocare la partita” o “fare gioco di squadra”. Sono questi solo alcuni esempi che evidenziano quanto lo sport, come del resto l’esistenza, sia animato da un certo spirito sportivo che è principalmente di carattere agonistico.

Tuttavia, lo spirito agonistico è da molti riconosciuto come problematico e spesso è visto con sospetto e diffidenza. Tra queste posizioni è particolarmente rappresentativa la voce di George Orwell che sulle colonne della rivista inglese Tribune nel dicembre del 1945 commentava la visita sul suolo britannico della squadra di calcio russa Dinamo Mosca in modo netto: “Ora che la fugace visita della squadra di calcio della Dinamo è giunta al termine, è possibile esprimere pubblicamente ciò che molte persone assennate già dicevano prima dell’arrivo della Dinamo: ovvero che lo sport è motivo incessante di ostilità, e che se una visita del genere ha avuto qualche effetto sulle relazioni anglo-sovietiche, è solo nel senso di renderle leggermente peggiori di prima”. Analizzando, poi, la cronaca di quei giorni, Orwell criticando il cosiddetto “spirito olimpico”, concludeva: “Rimango sempre esterrefatto quando sento dire che lo sport genera amicizia tra le nazioni, e che se solo la gente comune dei popoli di tutto il mondo potesse incontrarsi su un campo di calcio o di cricket, non avrebbe alcun desiderio di incontrarsi su un campo di battaglia […]. Al contrario, se si volesse incrementare l’enorme riserva di ostilità esistente nel mondo in questo momento, non ci sarebbe nulla di meglio che organizzare una serie di partire di calcio tra ebrei e arabi, tedeschi e cechi, indiani e britannici, russi e polacchi, italiani e jugoslavi, assicurandosi che a ogni incontro assista un pubblico di 100.000 spettatori”.

L’agonismo è quindi un tema che è in grado di polarizzare la discussione tra detrattori, che ne evidenziano l’esasperazione e gli eccessi, e sostenitori che, invece, ne sottolineano una valenza anche positiva, a partire dal ruolo che esso riveste, innanzitutto, nella capacità di mettere alla prova se stessi.

Uscendo dalla metafora sportiva, allora, quali agonismi caratterizzano la società attuale? Quali modelli di agonismo è possibile sostenere per una società educata a una “sana” competizione?

Lo scopo di questa call for papers del Lessico di Etica pubblica (XI, n.1; 2020) è quello di contribuire a far luce sul sistema della competizione e dell’agonismo: da un lato come limite che, laddove esasperato può alimentare la frammentazione e le fratture, ma dall’altro anche come risorsa, ovvero come occasione che non appiattisce il confronto e, nel promuovere la dinamica dell’incontro-scontro, apre a possibili prospettive di miglioramento sia personale, sia collettive.

Tipologia dei contributi

Nell’affrontare questo tema, saranno accolti contributi di carattere teorico, storico o operativo che verteranno su alcune dimensioni della questione:

  • Dimensione filosofico-sportiva: in quale modo la metafora sportiva connota la società e la concezione antropologica.
  • Dimensione filosofico-sociale: l’agonismo sociale, le sue implicazioni e le sue critiche.
  • Dimensione filosofico-politica: in quali termini è possibile una convivenza pacifica in una società fondata sull’agonismo; quali valori e quali regole possono essere messe in atto.
  • Dimensione etica-pedagogica: l’agonismo come paradigma dell’educabilità umana e i valori pedagogici sottostanti alle pratiche educative sportive.
  • Dimensione formativa: riflettere a quali condizioni l’agonismo sportivo può essere interpretato come un modello formativo; evidenziare quali sono o possono essere i rischi di una sua degenerazione.

Le tipologie di contributo suggerite, e altre che da esse possono prendere spunto, dovrebbero avere l’obiettivo comune di stimolare una discussione nello spazio pubblico intorno a un ripensamento della questione dell’agonismo, del ruolo che esso riveste in ambito sociale e politico, e alle sue ricadute in ambito pedagogico e etico.

A questi temi la rivista “Lessico di etica pubblica” intende dedicare un numero monografico che sarà pubblicato in giugno 2020.

Gli articoli dovranno essere inviati entro e non oltre 30 aprile 2020, in una forma compatibile con la procedura di blind review. Si accettano testi in italiano, redatti secondo le norme editoriali presenti nel sito, tra le 25.000 e le 35.000 battute (comprese le note e un abstract in inglese e in italiano di massimo 150 parole).

L’articolo e l’abstract devono essere inviati in un unico file (.doc) agli indirizzi:

pratichefilosoficheeducazione@gmail.com e redazione.eticapubblica@gmail.com

 

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La giustizia intergenerazionale in un’epoca di crescenti disuguaglianze

(X, n. 2, 2019)

A cura di Alberto Pirni e Fausto Corvino

 

Viviamo in un’epoca di opportunità senza precedenti. Molti problemi scientifici e sociali che fino a poco tempo fa sembravano insormontabili sono stati risolti e probabilmente continueranno ad esserlo anche nel prossimo futuro. Tuttavia, se ampliamo il raggio della nostra analisi non possiamo fare a meno di notare che le crescenti possibilità per l’umanità corrispondono a rischi sociali, economici e ambientali che fino a pochi decenni fa erano difficili da percepire e da teorizzare.

Ciò che contraddistingue la maggior parte dei rischi associati alla società industriale e post-industriale è il fatto che possono essere facilmente trasferiti, almeno in parte, alle generazioni future. In altre parole, gli individui attuali sono in grado di decidere quale percentuale dei costi legati alla crescita economica vogliono sostenere e quale percentuale vogliono trasferire ai loro discendenti – i due esempi emblematici sono rappresentati dal cambiamento climatico e dal debito pubblico. Le classiche teorie della giustizia, basate su modelli cooperativi e/o coercitivi, incontrano vari ostacoli concettuali nel delineare una chiara guida filosofica attraverso cui la società attuale possa ripartire nel tempo i costi e i benefici di una cooperazione che non può che essere indiretta. Inoltre, i governi nazionali si trovano a dovere trovare soluzioni a problemi di povertà intra-generazionale, sia a livello nazionale che globale, che rischiano, se non ben calibrate, di finire in contrasto con il perseguimento un’equa ripartizione inter-generazionale di costi e opportunità.

Lo scopo di questa call for papers del Lessico di Etica Pubblica (X, n. 2, 2019) è quello di affrontare le molteplici questioni etiche relative alla giustizia da una prospettiva triangolare che comprende da un lato i doveri di giustizia intra-generazionale di tipo nazionale e globale, e dall’altro i doveri di giustizia inter-generazionale. Bisogna cercare di conciliare le tre prospettive? Se così fosse, come si può dare un senso ai doveri di giustizia verso gli individui futuri in quei contesti in cui risultiamo deficitari rispetto all’implementazione dei principi di giustizia intra-generazionale? Nell’affrontare questi interrogativi filosofici invitiamo a presentare contributi che rientrino – almeno – in uno dei seguenti gruppi tematici:

  • Danni ambientali e cambiamenti climatici: gli scienziati sono ormai concordi nel sostenere che gli attuali modelli di produzione e consumo causeranno danni irrimediabili all’ambiente nel prossimo futuro, con conseguenze disastrose anche per gli esseri umani. Tuttavia, le generazioni attuali esitano a sottoporsi ai sacrifici economici necessari per preservare gli equilibri ambientali dell’epoca preindustriale. Come interpretare i nostri doveri di giustizia ambientale nei confronti dei posteri nel quadro più ampio delle attuali disuguaglianze?
  • Debito pubblico e stabilità finanziaria: le generazioni attuali si ritrovano, in molti casi, a sostenere i costi del debito pubblico lasciato in eredità dalle generazioni precedenti, e non hanno altra scelta se non quella di intervenire su di esso attraverso tagli alla spesa sociale. Come distribuire, quindi, i costi della stabilità finanziaria, che sono in parte addebitabili a chi è vissuto prima ma non più esigibili, tra le generazioni presenti e quelle future?
  • Un accesso equo alle tecnologie adattive: se la crescita e lo sviluppo possono porre problemi crescenti, soprattutto in termini di sostenibilità ambientale, dovremmo anche tenere conto del fatto che essi possono fornire ai futuri individui le conoscenze tecnologiche necessarie per elaborare strategie adattive che potrebbero ridurre l’impatto negativo – almeno sugli esseri umani – dei cambiamenti climatici e, più in generale, delle minacce ambientali. Che ruolo gioca questo ineludibile elemento empirico all’interno di una teoria credibile di giustizia inter-generazionale?
  • Le motivazioni morali per adempiere ai nostri obblighi verso i posteri: attuare la giustizia inter-generazionale significa affrontare alcuni sacrifici oggi nell’interesse di chi verrà dopo di noi. Siamo interessati ad articoli che cerchino di fornire un solido fondamento teorico delle varie motivazioni morali che possano spingere le generazioni presenti a rinunciare alla massimizzazione del proprio benessere facendo così una sorta di ‘investimento a fondo perduto’ a beneficio delle generazioni future. In particolare, accogliamo favorevolmente contributi filosofici riguardanti le giustificazioni normative ed emotive dei nostri obblighi verso le generazioni future e che analizzino se e come la giustizia inter-generazionale possa essere conciliata con i nostri legami morali intra-generazionali.

 

I contributi dovranno essere inviati entro il 02 settembre 2019 agli indirizzi a.pirni@santannapisa.it e f.corvino@santannapisa.it, idonei al processo di blind-review e uniformati secondo le norme redazionali della rivista.

Sarà comunicata accettazione ed eventuale richiesta di integrazioni entro il 30 settembre 2019 e la definitiva pubblicazione del numero avverrà entro dicembre 2019.

Si accettano contributi sia in italiano che in inglese (i contributi inviati in lingua inglese saranno tradotti in italiano) preceduti da un abstract di massimo 150 parole.

Lunghezza massima: 35.000 battute spazi e note inclusi.

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La filosofia di Giorgio Agamben: metafisica, politica, etica e diritto

 

A cura di Ernesto C. Sferrazza Papa

 

Un osservatore attento della filosofia contemporanea non può esimersi dal riconoscere l’importanza dell’opera di Giorgio Agamben nella ridefinizione e nel ripensamento dei problemi fondamentali della tradizione occidentale. A partire dalla pubblicazione di Stanze (1977) e di Infanzia e storia (1979), Agamben si è imposto all’attenzione del dibattito internazionale per la radicalità con cui è stato in grado di movimentare il canone filosofico attraverso un serrato confronto critico con la tradizione occidentale nel suo insieme.

Sarebbe in ogni caso una colpevole negligenza limitare l’opera agambeniana alla critica della tradizione ch’essa ha imbastito. Non ci confrontiamo unicamente con un ripensamento critico della tradizione filosofica, ma abbiamo a che fare con un nuovo modo di “fare” filosofia, con un nuovo “stile in filosofia” – per dirla con Manfred Frank –, ossia con qualcosa di radicalmente innovativo nella storia del pensiero filosofico, foriero di un intero spettro di reazioni che va dalla radicale disapprovazione all’agiografia programmatica, come dimostrerebbe una ricognizione nella letteratura critica più aggiornata. Di questo nuovo “stile in filosofia” è testimonianza il progetto Homo sacer, autentico hapax della riflessione filosofica occidentale, inaugurato nel 1995 con la pubblicazione di Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita e abbandonato – perché, questa la lectio difficilior di Agamben, nessuna opera può mai realmente concludersi – nel 2014 con L’uso dei corpi (Homo sacer, IV, 2). In Homo sacer Agamben, a partire da una analisi serrata dei dispositivi giuridici del diritto romano, ha indagato i lati oscuri della modernità, mostrando la sostanziale omogeneità paradigmatica che ha segnato la storia politica dell’umanità (le analisi del sacro, del campo come paradigma politico, della polis, dell’etica sono in questo senso rivelatrici) e proponendo un ripensamento radicale dell’intero apparato categoriale occidentale, fino a teorizzare un potere destituente che attende ancora un’indagine approfondita.

Il pensiero agambeniano, nella sua radicalità, ci invita altresì a ripensare gli steccati disciplinari che il sapere accademico ci impone in quest’epoca – obbligandoci di fatto ad abolirli, a sfondarli: teologia e diritto, metafisica e politica, geografia e arte. Da questa specola, fare uso dell’armamentario concettuale di Agamben implica il rifiuto delle divisioni e delle separazioni disciplinari, cui sostituire una molteplicità di soglie attraverso le quali transitare. Da questo punto di vista, il pensiero di Agamben rappresenta una vera e propria accusa alla compartimentazione dei saperi fomentata oggigiorno dall’accademia.

Di questa complessità concettuale sarà senza dubbio problematico rendere conto. E tuttavia, il presente numero monografico del “Lessico di etica pubblica” si propone l’arduo compito, la sfida in un certo senso, di ricostruire criticamente l’orizzonte entro cui si muove la filosofia di Giorgio Agamben, indagandone sia gli aspetti maggiormente proficui, sia – e forse soprattutto – quelli maggiormente critici.

Dato il contesto editoriale della rivista e i suoi interessi specifici, particolare attenzione verrà dedicata alla possibilità di ripensare (ossia: di pensare criticamente) lo spazio pubblico a partire dalle categorie del pensiero di Agamben, che movimentano il repertorio classico di nozioni quali Stato, comunità, società, agire. È possibile fondare un agire pubblico a partire dall’armamentario concettuale di Agamben, oppure la sua critica filosofica è sintomatica del venire meno della possibilità stessa di un agire? Quale spazio vi è per l’etica una volta decostruite le categorie sulle quali si è storicamente e concettualmente fondata? E quale spazio per la politica, anch’essa decostruita dalla critica agambeniana?

Pur mantenendo la generalità tematica che contraddistingue il pensiero di Agamben, gli autori sono caldamente invitati a focalizzare i propri contributi su una delle seguenti linee di ricerca:

- concetti e temi della filosofia agambeniana (campo, stato d’eccezione, bando, soglia, homo sacer, dispositivo, nuda vita, uso, inoperosità, etc.);

- Agamben e la tradizione filosofica occidentale (in particolare, ma non solo: Platone, Aristotele, Kant, Hegel, Marx, Nietzsche, Benjamin, Schmitt, Arendt, Heidegger, Bataille, Wittgenstein, Foucault);

- “figure” del pensiero agambeniano (Kafka, Melville, Bartleby, etc.);

- il fuori della filosofia di Agamben: geografia, diritto, teologia, arte, critica letteraria;

- secolarizzazione, archeologia, genealogia: il problema del metodo in filosofia;

- Agamben e l’Italian Theory;

- Etica e politica in Agamben: operosità/inoperosità, azione/inazione, istituzione/costituzione/ destituzione.

Gli autori che intendessero proporre contributi al di fuori delle linee di ricerca suggerite sono invitati a discuterne preliminarmente con il curatore del numero, contattandolo all’indirizzo mail ernesto.sferrazzapapa@unito.it

I contributi dovranno essere inviati entro il 31 marzo 2019 al medesimo indirizzo mail preparati per il processo di blind-review e uniformati secondo le norme redazionali della rivista. Per informazioni in tal senso si consulti il sito web http://www.eticapubblica.it/

Si accettano contributi in italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo.

Lunghezza massima: 35000 battute spazi inclusi.

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 Storia e discorso politico

Retorica, ideologia e verità

a cura di Gabriele Vissio

Nella sua ultima opera, Apologia della storia o mestiere di storico, scritta in prigionia durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, Marc Bloch sosteneva che «la mania di giudicare» è un «diabolico nemico della storia più verace». Negli stessi anni, in un’altra prigione, Fernand Braudel offriva ai propri compagni di prigionia alcune lezioni sulla storia, successivamente pubblicata come Storia misura del mondo, e sosteneva che non possiamo più accettare un «Tribunale della Storia». Nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, questi due famosi storici francesi ponevano un problema storico che si sarebbe rivelato centrale per le generazioni successive: il ruolo politico e pubblico della storia. In seguito alla comparsa di un revisionismo distorto e la diffusione di teorie negazioniste, gli storici contemporanei hanno dovuto confrontarsi con il cosiddetto “uso pubblico della storia”.

Oggi la situazione è ulteriormente complicata dalla presenza di un’ampia comunità di storici non professionisti, come giornalisti, commentatori e blogger, che producono informazione storica divulgativa. Inoltre, l’avvento di internet e l’ampio accesso a nuove possibilità, che permettono a un gran numero di persone di produrre e consumare cultura storica, hanno complicato ulteriormente la situazione.

Al contempo, se la maggior parte degli storici è consapevole dei rischi che comporta una storia eccessivamente connessa con le ideologie contemporanee, è pur anche vero che la scrittura della storia è stata spesso concepita come un’attività politica. In tal senso, nella loro ricerca della verità, gli storici utilizzano diverse risorse epistemiche, mescolando diversi tipi di strumenti narrativi, prove, retorica e anche elementi ideologici. Sino a che punto tali elementi argomentativi sono giustificabili come strumenti epistemologici appropriati della storiografia e a quali condizioni essi rischiano di avallare un uso improprio del discorso storico?

Tenendo conto di ciò, saranno accettati contributi delle seguenti tipologie:

  1. Saggi riguardanti questioni epistemologiche connesse al problema generale del ruolo politico e pubblico della storia (il problema dell’oggettività e della neutralità della storia; la presenza di elementi retorici, narrativi e ideologici all’interno della scrittura storica; il significato epistemologico del “giudizio storico”; ecc.);
  2. Saggi che mirino a chiarire l’importanza della storia nei confronti di problemi politici e sociali contemporanei: l’importanza delle storie speciali (per es. la storia delle donne, la Queer History; la storia delle migrazioni; ecc.) per il dibattito politico; il ruolo della storia nella trasformazione della sfera pubblica; l’importanza della memoria storica per le democrazie contemporanee;
  3. Saggi riguardanti il problema dell’«uso pubblico della storia», dell’Historikerstreit e del negazionismo storico, anche in relazione a specifici casi di studio connessi al dibattito politico contemporaneo (per es. il riapparire, nella sfera pubblica europea, del fascismo);
  4. Saggi che abbiano come scopo quello di chiarire come un’educazione storica possa promuovere valori politici democratici in un contesto multiculturale e in società complesse (per esempio: in che modo un’educazione storica non-nazionalista potrebbe sviluppare positivamente la tolleranza democratica e il dialogo interculturale?).

Deadline per l’invio dei saggi: 15 Ottobre 2018

Pubblicazione: entro il 31 Dicembre 2018

Gli articoli dovranno essere inviati entro il 15 Ottobre 2018 in una forma compatibile con la procedura di blind review. Si accettano testi in italiano, inglese e francese redatti secondo le norme editoriali presenti nel sito web (http://www.eticapubblica.it/), lunghi non più di 30.000 battute (comprese le note e un abstract in inglese e in italiano di massimo 150 parole).

Siete pregati di inviare il vostro saggio a: lepcfpstoria@gmail.com

Per ogni altra informazione siete pregati di contattare gabriele.vissio@live.it

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Problemi etico-pubblici della cultura digitale

a cura di Davide Sisto

L’epoca odierna è profondamente segnata dalle trasformazioni radicali apportate dalla cultura digitale, cioè dall’insieme delle nuove tecnologie informatiche che si sono sviluppate nello spazio pubblico a partire dagli ultimi decenni del Novecento. Nel giro di pochi anni, la Generazione X, quella di coloro che approssimativamente sono nati tra il 1965 e il 1980, sarà l’ultima generazione ad aver vissuto un periodo storico senza la presenza di computer, di telefoni portatili e, in particolare, senza Internet. Tali strumenti, fornendo ai cittadini modalità di comunicazione, di informazione e di espressione personale assolutamente inedite rispetto ai periodi precedenti la loro diffusione, hanno comportato rivoluzioni radicali all’interno delle loro abitudini quotidiane, spalancando orizzonti socio-culturali il cui significato è – oggi – tutt’altro che chiaro e definito.

In particolare, la diffusione dei social network e dei blog, nonché la possibilità di aprire in maniera arbitraria una propria pagina web in cui esprimere liberamente se stessi o fornire informazioni e risorse di qualsivoglia tipologia alla comunità internazionale, ha amplificato le contraddizioni insite da sempre nel rapporto tra reale e virtuale, ha introdotto questioni di natura giuridica – legate soprattutto alla privacy personale – inimmaginabili fino a qualche decennio fa, ha modificato le caratteristiche della partecipazione collettiva alla vita politica, culturale e sociale sia a livello nazionale che a livello internazionale, ha ampliato e – al tempo stesso – ridotto la libertà individuale, ha rivoluzionato il concetto di lavoro, nonché ha fornito nuove potenzialità per creare relazioni all’interno dello spazio pubblico.

La vastità di temi e questioni che provengono dalla diffusione progressiva della cultura digitale necessita di uno sguardo interpretativo interdisciplinare, in grado di coinvolgere tanto le discipline tecnico-scientifiche quanto quelle umanistiche in vista di cogliere le potenzialità e i rischi che tale cultura comporta all’interno dello spazio pubblico in cui viviamo.

L’obiettivo che si pone, pertanto, il presente numero è quello di mettere in luce le principali problematiche di natura etica che caratterizzano la cultura digitale e il suo imporsi nello spazio pubblico.

Tenendo conto di ciò, i contributi possono riguardare i seguenti argomenti:

  • Le conseguenze etiche dell’incidenza del virtuale sul reale. Come cambiano i rapporti sociali (di natura lavorativa, personale, sentimentale, ecc.) con la creazione di una propria identità virtuale, soprattutto all’interno dei social network e dei blog; in che modo questa identità virtuale incide sul nostro legame con la corporeità, con la gestione dei nostri sentimenti e delle nostre emozioni, con i nostri ricordi e la nostra memoria, con i processi naturali della vita (cfr. per esempio la cosiddetta “morte digitale”); quale ruolo svolge questa identità virtuale all’interno della propria formazione personale e in relazione al mondo culturale, sociale e politico all’interno di cui siamo collocati.
  • Le conseguenze giuridiche della diffusione della cultura digitale. Come cambiano le regole della privacy personale nel complesso universo del web; quali sono i confini tra la propria libertà personale e la violazione della privacy altrui, dove comincia e dove finisce il diritto all’oblio, ecc. Temi particolarmente problematici soprattutto con lo sviluppo dei social network e degli indirizzi e-mail, nonché con la condivisione universale di immagini, video e file musicali, cinematografici, amatoriali, ecc. (cfr., per esempio, il modo in cui la cultura digitale ha modificato le caratteristiche della pirateria musicale e il modo in cui si è diffuso il materiale pornografico).
  • Le conseguenze politiche della diffusione della cultura digitale. In che modo la cultura digitale ha modificato l’etica della politica nazionale e internazionale; quanto incide il web sulle strategie politiche, economiche, sociali e comunicative adottate dalla politica sia in campagna elettorale sia durante un periodo di governo (si pensi alla cosiddetta “post-verità”, tanto in voga oggi); qual è il legame tra il terrorismo, nelle forme che ha adottato in questi ultimi decenni, e la cultura digitale.
  • La libertà individuale e collettiva. Il web favorisce un maggiore esercizio della libertà individuale o la limita? Incrementa l’omologazione o piuttosto ne rappresenta un antidoto significativo? (cfr., per esempio, l’importanza nel panorama culturale occidentale delle riflessioni controverse di Byung-Chul Han o la diffusione del concetto di intelligenza collettiva così come viene pensato da Pierre Lévy).
  • La comunicazione digitale. Prerogative positive e degenerazioni della comunicazione digitale. Tale comunicazione favorisce una maggiore democratizzazione della comunicazione e dell’informazione pubblica oppure, dando la possibilità a ogni singolo cittadino di poter esprimere la propria opinione, la rende più banale e mediocre (si pensi, di nuovo, alla cosiddetta “post-verità”)? Perché si diffonde la cultura dell’odio nella comunicazione digitale? Quanto incide sulla produzione del consenso e sulla formazione della società civile? (cfr. Manuel Castells, Derrick de Kerckhove).
  • L’etica filosofica e la cultura digitale. In che modo possiamo mettere in comunicazione le dottrine etiche della filosofia, così come si sono sviluppate nel corso dei secoli, con la realtà creata dalla cultura digitale nel mondo odierno.

A questi temi la rivista “Lessico di etica pubblica” intende dedicare un numero monografico che sarà pubblicato nella seconda metà del 2018.

Gli articoli dovranno essere inviati entro il 30 gennaio 2018 in una forma compatibile con la procedura di blind review. Si accettano testi in italiano, inglese e francese redatti secondo le norme editoriali presenti nel sito web (http://www.eticapubblica.it/), lunghi non più di 30.000 battute (comprese le note e un abstract in inglese e in italiano di massimo 150 parole).

Articolo e abstract devono essere inviati in un unico file (.doc) all’indirizzo da.sisto@gmail.com

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Scuola di Alta Formazione Filosofica di Acqui Terme

Etica come responsabilità pubblica Ripensare corruzione e legalità, oggi

Acqui Terme, Palazzo Levi 19-21 aprile 2017

Bando di concorso – call for papers

Sono aperti il bando di concorso e la call for papers per la XVIII edizione della Scuola di Alta Formazione di Acqui Terme. La partecipazione alla Scuola è libera e gratuita per ogni interessato.
Sono previste fino a 10 borse di studio di € 200,00 cad. per giovani studiosi e ricercatori che svolgano studi attinenti alle tematiche proposte.

Il ciclo di lezioni è valevole come Corso d’Aggiornamento per Docenti di ogni ordine scolastico. Si prevede l’erogazione di CFU per studenti universitari che ne faranno richiesta.

Le persone selezionate saranno invitate a presentare una comunicazione nell’ambito dello svolgimento della Scuola. Si prevede la pubblicazione delle comunicazioni unitamente alle relazioni presentate dai relatori ufficiali all’interno di un volume o numero monografico di rivista di livello internazionale.

Per partecipare alla selezione dovranno essere prodotti:
1) richiesta di partecipazione comprensiva di recapiti telefonici e mail;
2) un sintetico curriculum (fino a 2 pagine);
3) l’abstract della comunicazione proposta (fino ad 1 pagina).
Le domande, che saranno vagliate da apposita Commissione scientifica, dovranno pervenire esclusivamente all’indirizzo e-mail: a.pirni@santannapisa.it, con l’oggetto “SAF-2017”.

Termine ultimo per la presentazione delle domande: 10 aprile 2017.
Conferma di accettazione della proposta di paper e di assegnazione della borsa di studio: entro il 14 aprile 2017.

Ulteriori informazioni:
Descrizione della Scuola di Alta Formazione Filosofica di Acqui Terme:

  • http://www.acquistoria.it/index.php?option=com_content&view=category&id=40&Itemid=230&lang=it
  • www.acquistoria.it;

Per informazioni organizzative: Ufficio Cultura – “Premio Acqui Storia” info@acquistoria.it; 0144/770203.

Per informazioni logistiche (come arrivare; dove soggiornare in Acqui Terme): Ufficio Informazione Turistica:
http://www.turismoacquiterme.it/en/
iat@acquiterme.it

tel. +39 0144 322142

Coordinamento: Alberto Pirni (Scuola Superiore Sant’Anna – Pisa).

a.pirni@santannapisa.it; 050/883324.

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 Ripensare la comunità tra educazione e pratiche filosofiche

a cura di Federico Zamengo e Nicolò Valenzano

 

La ripresa del discorso sulla comunità, nelle implicazioni teoriche e nei risvolti pratici, da una parte riflette lo sfilacciamento dei legami sociali e la trasformazione delle tradizionali agenzie di costruzione del legame sociale, dall’altra induce a ragionare sul precario equilibrio tra deriva individualistica e annullamento dell’individuo nella comunità.

In questo complesso intreccio di fattori, si riconosce uno specifico ruolo alla filosofia, sia dal punto di vista teorico che da quello pratico. La riflessione filosofica indica come centrale il tema del rapporto tra individuo e comunità, rinviando inevitabilmente al senso e al ruolo della filosofia nella società contemporanea. Un aspetto rilevante assume, in questa prospettiva, il discorso educativo: si tratta, infatti, di delineare una pedagogia della comunità capace di inquadrare teoricamente e declinare praticamente la complessa relazione tra soggetto, alterità e collettività.

Dal punto di vista pratico il ruolo che la filosofia può assumere, in questo contesto, si declina nel molteplice panorama delle pratiche filosofiche di comunità (da Nelson e Lipman a Dolci e Capitini). In questa prospettiva, filosofia significa, in primo luogo, pratica discorsiva: il tema del dialogo filosofico riveste quindi una parte centrale. Le etiche del dialogo conferiscono importanza alla questione, teorica e pratica al contempo, del nesso tra filosofia ed educazione, recuperando la primitiva istanza pedagogico-trasformativa della filosofia.

La filosofia, come pratica sociale, si presume sia capace di generare legami interpersonali e comunitari. La pratica filosofica di comunità viene considerata come un luogo privilegiato da cui sviluppare l’interrogazione sul nesso tra filosofia e emergenza dei legami. Si attribuisce al filosofare la capacità di trasformare, più che di informare, le persone: in questo modo il ruolo della filosofia si coniuga con quello della pedagogia. Da questo punto di vista, sarà necessario indagare lo specifico educativo delle pratiche filosofiche di comunità, ovvero se possa essere rintracciata una peculiarità pedagogica del filosofico.

 

Tipologia dei contributi

I contributi, di carattere teorico, storico o operativo, potranno riguardare:

  1. Il rapporto tra individuo, alterità e comunità, quale si configura nelle pratiche filosofiche.
  2. Il contributo delle pratiche filosofiche di comunità alla costruzione di legami sociali e di comunità plurali.
  3. La rilevanza del dialogo filosofico per la tematica della relazione sociale.
  4. L’intreccio teorico e pratico tra etica del dialogo, educazione e pratiche filosofiche.
  5. Il ruolo della filosofia, e delle pratiche filosofiche, nel discorso intorno alla comunità.
  6. Lo specifico filosofico delle pratiche filosofiche di comunità.
  7. Le diverse e molteplici pratiche filosofiche di comunità, con o senza intenzionalità educativa.
  8. L’intenzionalità educativa delle pratiche filosofiche.
  9. La progettazione e la valutazione dello sviluppo di comunità attraverso le pratiche filosofiche.
  10. Il rapporto tra le pratiche filosofiche di comunità e le nuove forme comunitarie, innanzitutto dal punto di vista delle ICT (Information and Communications Technology).
  11. La possibilità che le pratiche filosofiche di comunità consentano di superare una datata divisione tra teoria e pratica.

Le tipologie di contributo suggerite, e altre che da esse possono prendere spunto, dovrebbero avere l’obiettivo comune di stimolare una discussione nello spazio pubblico intorno ad un ripensamento della comunità, del ruolo dell’individuo e della costruzione del legame sociale, che prenda le mosse dal compito educativo che la filosofia può oggi assumere.

A questi temi la rivista “Lessico di etica pubblica” intende dedicare un numero monografico che sarà pubblicato nella prima metà del 2017.

Gli articoli dovranno essere inviati entro e non oltre il 31 marzo 2017 in una forma compatibile con la procedura di blind review. Si accettano testi in italiano, redatti secondo le norme editoriali presenti nel sito, lunghi non più di 40.000 battute (comprese le note e un abstract in inglese e in italiano di massimo 150 parole). Per la redazione si consiglia di utilizzare l’apposito “foglio di stile” disponibile tra gli allegati.

L’articolo e l’abstract devono essere inviati in un unico file (.doc) all’indirizzo pratichefilosoficheeducazione@gmail.com.

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(Non-)Violenza pubblica e giustificazione religiosa

A cura di Paolo Monti

La giustificazione religiosa della violenza è storicamente una delle sfide centrali alla fondazione della convivenza civile, dall’accusa di empietà a Socrate, alle guerre di religione del XVI e XVII secolo, fino al terrorismo contemporaneo di matrice religiosa. Il pensiero democratico, la tradizione liberale e la riflessione moderna sulla tolleranza sorgono in misura importante da questa sfida. Il rapporto fra violenza e religione non è tuttavia univoco. I più brutali conflitti del XX secolo sono stati alimentati da ideologie secolari e ostilità etniche, lasciando il fattore religioso ai margini in favore di giustificazioni politiche, economiche e identitarie di altra natura. Per altro verso, compassione, amore e non-violenza fanno parte integrante della spiritualità delle religioni mondiali. Grandi protagonisti della storia recente come Gandhi, Martin Luther King o Desmond Tutu hanno giustificato in termini religiosi la propria opzione non-violenta e una significativa ispirazione religiosa ha caratterizzato recenti fenomeni politici non-violenti come la protesta di Solidarność in Polonia o la Rivoluzione Zafferano in Myanmar.

Il tramonto delle teorie standard della secolarizzazione e il ritorno delle religioni sul palco principale della scena politica, ha riportato il pensiero etico e politico a confrontarsi col rapporto fra violenza pubblica e religioni. L’analisi ha preso direzioni molteplici, indagando i rapporti fra pensiero religioso e comprensione della conflittualità sociale e politica (Girard, Taylor, Esposito, Agamben), interpretando i meccanismi culturali di giustificazione e motivazione religiosa che guidano l’azione terroristica e la brutalità fondamentalista (Asad, Strenski, Juergensmeyer), sondando la storia del pensiero filosofico-teologico sul tema della giustificazione della guerra giusta (Steffen, Clarke).

Da queste analisi emerge come le religioni stiano mutando le forme della giustificazione religiosa della violenza e della non-violenza nel quadro della tarda secolarizzazione. La forza politica del conservatorismo e del fondamentalismo religioso (Arabia Saudita, India, Stati Uniti) si alimenta del distacco fra credenza fideistica ed elaborazione culturale (Roy), eppure in società tecnologicamente ed economicamente avanzate le religioni continuano a fornire un contributo cruciale al discorso e all’azione pubblica sui temi del dialogo interculturale, della solidarietà e della giustizia sociale (Habermas). Così, da un lato i fenomeni del radicalismo violento saldano insieme immaginari spuri di fedeltà all’origine con forme ultramoderne di comunicazione commerciale ed elementi di contestazione dell’ordine economico e politico globalizzato (Žižek). Dall’altro, chiese e movimenti religiosi contribuiscono a livello globale alla causa della convivenza fra i popoli e dell’accoglienza delle popolazioni in fuga dai conflitti veicolando una preoccupazione per la giustizia che supera i confini degli stati nazionali (Beck).

In questo contesto, i contributi possono coprire, fra le altre, le seguenti aree:

  1. Il problema della giustificazione religiosa della violenza e della non-violenza nella storia del pensiero etico-politico classico e moderno.
  2. Secolarizzazione e violenza: le trasformazioni della giustificazione religiosa della violenza in epoca moderna.
  3. La violenza e il sacro: l’eredità di René Girard.
  4. Pensiero liberale, pluralismo culturale, ingiustizia sociale e conflittualità globale (Rawls, Dworkin, Kymlicka)
  5. La via liberale alla convivenza civile e la sfida dei contesti non-occidentali: diritti, democrazia e fondamentalismo religioso in India (Sen, Nussbaum) e Cina (Bell).
  6. Teorie della guerra giusta e giustificazione religiosa in ambito cristiano e islamico.
  7. La non-violenza come ideale etico e come strumento politico: prospettive filosofiche e teologiche.
  8. Radicalizzazione e de-radicalizzazione: l’istigazione alla violenza come problema di comunicazione ed educazione pubblica.

A questi temi la rivista “Lessico di etica pubblica” intende dedicare un numero monografico che sarà pubblicato nella prima metà del 2017.

Gli articoli dovranno essere inviati entro il 26/04/2017 in una forma compatibile con la procedura di blind review: nella prima pagina, nome e cognome dell’autore, indirizzo di posta elettronica, titolo e abstract; nelle pagine seguenti, titolo, testo e note. Si accettano testi in italiano, inglese e francese redatti secondo le norme editoriali presenti nel sito web (http://www.eticapubblica.it/), lunghi non più di 30.000 battute spazi inclusi (comprese le note e un abstract in inglese e in italiano di massimo 150 parole).

Il numero è curato da: Paolo Monti (Università Cattolica del Sacro Cuore).

Articolo e abstract devono essere inviati in un unico file (.doc) all’indirizzo paolo.monti@unicatt.it

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Archivio call for paper

“Pensare la comunità”

(a cura di Alessandro De Cesaris)

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“Medicina, cura e normatività”

(a cura di Davide Sisto e Gabriele Vissio)

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